Le fredde giornate invernali, nelle quali le copiose nevicate hanno trasformato interi paesaggi, vestendoli di luce
nuova, ammaliante, ma mettendo anche a nudo tutte le criticità del vivere
moderno, sembrano oramai appartenere al passato. Eppure una domanda continua a
frullarmi in testa: i nostri nonni come superavano i lunghi e rigidi inverni?
IL CAMINO
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Camino in una vecchia abitazione. Fonte: internet |
Il camino ha rappresentato nei
tempi passati la principale fonte di riscaldamento, usata tanto in abitazioni modeste
quanto in quelle più agiate. Questa sua fondamentale funzione, tuttavia, non
esauriva completamente il ruolo svolto nelle dimore, in special modo in quelle
rurali e particolarmente in quelle rurali marchigiane. Nelle case coloniche,
infatti, il camino costituiva anche il luogo deputato alla cottura dei cibi,
rappresentava, in inverno, il luogo privilegiato per l’incontro, la
socializzazione. Era intorno al fuoco del camino che ci si riposava, si
recitava il rosario, si chiacchierava, si raccontavano storie, spesso in
compagnia dei vicini1. Era intorno al fuoco del camino che le donne
rammendavano e gli uomini intrecciavano la paglia2.
Il camino dunque costituiva il
cuore della vita domestica, familiare, sociale. Questa centralità si rifletteva
anche sul piano costruttivo, strutturale, spaziale. Non era un caso, infatti,
se in gran parte delle case coloniche marchigiane il camino occupava la parete
più lunga della stanza più grande ed importante dell’abitazione, ovvero la
cucina. Era da questa stanza, direttamente servita dalla scala interna o esterna,
che si accedeva a tutti gli altri ambienti, dalle camere da letto ai vani usati
come depositi. “… Si potrebbe dire” così
Gianni Volpe sintetizza l’evoluzione dell’organizzazione spaziale delle dimore
rurali marchigiane “che il fuoco del
camino è stato senz’altro il punto di partenza, seguito dalla cucina, quindi
dalla casa vera e propria …”
Ma com’era fatto? “Era monumentale, con la grande e slanciata
cappa al centro della parete più lunga, l’immancabile base, l’arola o rola, rialzata un palmo da terra, la catena per il caldaio e il
treppiedi in ferro per le pentole e i tegamini. La mensola in legno di appoggio
della cappa e sulla quale poggiano gli oggetti e gli utensili più usati (dal
portasale al mortaio, dalla lucerna al pesante ferro da stiro, dalla bugia di
latta smaltata o di terracotta al macinino) viene spesso rifinita con un telo
in modo da garantire il giusto tiraggio dei fumi. Una nicchia ricavata nello
spessore murario dove tenere a portata di mano i fiammiferi chiude il quadretto
tipico di quest’angolo domestico” così Gianni Volpe in “Storia
dell’alimentazione della cultura gastronomica e dell’arte conviviale nelle
Marche”, in una viva descrizione capace di far riaffiorare alla memoria ricordi
d’infanzia.
GLI SCALDINI
E’ bene sottolineare che spesso
il camino costituiva l’unica fonte di riscaldamento presente nelle abitazioni,
per di più posto in una sola stanza. Va aggiunto poi che l’ampiezza di calore
scaturita dalla combustione non era molto vasta (nulla a che vedere con i
moderni impianti) e che gli infissi si lasciavano attraversare, indisturbati, da
aliti di vento. Si capisce allora come le stanze fossero davvero molto fredde e
come dal bisogno di scaldarsi siano scaturiti tutta una serie di oggetti,
strumenti e stratagemmi utili per superare i rigidi inverni.
Lo scaldino ne è un esempio.
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Scaldino in alluminio.
Abitazione dei miei nonni, vera miniera di oggetti in uso ... qualche tempo fa.
(c) Nicola Pezzotta |
Si trattava di un piccolo secchio
in alluminio o rame, fornito di manico fisso che ne permetteva un agevole
trasporto. Il secchio così fatto, veniva riempito di brace e cenere seguendo un
ordine ben preciso: in basso uno strato di cenere, poi la brace ed infine, a
coprire il tutto,un altro strato di cenere. Una sequenzialità che aveva un duplice
intento: preservare le mani da spiacevoli scottature e prolungare la durata
della brace.
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In primo piano le mani di nonna Rosetta: così si teneva lo scaldino!
(c) Nicola Pezzotta |
Grazie allo scaldino quindi erano assicurate mani calde in
qualunque parte della casa ci si spostasse.
E per i piedi?
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Un esempio di copriscaldino in legno. Fonte:internet |
Il pragmatismo e l’arguzia
contadina non avevano di certo dimenticato questa parte del corpo. Esisteva una curiosa struttura in
legno, poco più grande dello scaldino, la cui forma ricordava un piccolo
sgabello con il piano grigliato. Era il copriscaldino. La struttura lignea, opportunamente posta
sopra lo scaldino a mo’ di cappuccio (il manico dello scaldino rimaneva bloccato
tra le barre della griglia), consentiva l’appoggio dei piedi ed il loro
riscaldamento grazie al calore che dallo scaldino risaliva verso il piano
grigliato. Una soluzione ottimale per quanti svolgevano attività sedentarie.
GLI SCALDALETTO
Il momento del riposo notturno
merita una trattazione separata per la molteplicità di soluzioni ed espedienti adottati
per non dormire in un letto freddo.
Il mattone in terracotta
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Mattone pieno in terracotta. Fonte: internet |
Il metodo più elementare e al tempo
stesso più originale, se guardato con gli occhi dell’uomo moderno, si avvaleva
semplicemente di un mattone pieno in terracotta. Questo, posto nel focolare,
vicino alla fiamma, aveva la capacità di assorbire una considerevole quantità
di calore. Prontamente prelevato, veniva avvolto in un panno di lana e
collocato tra le lenzuola, poco prima di coricarsi. Spostandolo di volta in
volta a seconda delle necessità, si aveva la possibilità di scaldare vari punti
del letto.
La bottiglia in alluminio
Un metodo alternativo prevedeva
l’impiego di una bottiglia d’alluminio, solitamente della capienza di un litro.
La bottiglia, riempita di acqua molto calda, veniva chiusa ermeticamente con
uno tappo a vite ed infilata in un sacchetto di tessuto di lana in grado di
calzarla perfettamente come un guanto. Così rivestita, la bottiglia in
alluminio poteva considerarsi una valida sostituzione della borsa dell’acqua
calda, condividendone infatti gli stessi usi e le stesse funzioni.
Lo scaldaletto
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Scaldaletto in rame con coperchio sollevato
(c) Nicola Pezzotta |
Molto diffuso era anche lo
scaldaletto, un capiente contenitore di rame, a forma di tegame, dotato di
coperchio forato e di manico lungo. Riempito anch’esso di brace e cenere,
veniva infilato tra le lenzuola e, con un movimento lento e regolare, lo si
faceva scivolare sulla superficie del letto in modo da riscaldarlo.
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Scaldaletto in rame
(c) Nicola Pezzotta |
Il lungo manico rendeva lo
scaldaletto funzionale anche ad un altro scopo: riscaldare la biancheria. Come?
Semplicemente operando come se si stesse “stirando”. Frequente infatti era il
suo utilizzo in occasione del bagnetto dei neonati, al fine di disporre sempre
di indumenti caldi all’uso.
La monaca ed il prete
Ho volutamente lasciato alla fine
una peculiare tecnica di riscaldamento, diffusissima in passato nelle campagne
marchigiane, una tecnica che si avvaleva di due ben distinti strumenti.
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La monneca
(c) Nicola Pezzotta |
Il primo di questi consisteva in
un recipiente in terracotta a bocca larga e manico corto, atto a raccogliere le
braci del camino. Il secondo invece era un curioso attrezzo costituito da due
coppie di assi ricurve, unite alle estremità e poste lateralmente a due ripiani
in legno.
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Lu prete
(c) Nicola Pezzotta |
Il primo era detto “
la monneca” [la monaca], il secondo “
lu prete” [il prete].
L’uno era in funzione dell’altro,
l’uno complemento dell’altro, in un gioco di relazioni capace di renderli
inseparabili, persino nei nomi, pur nella loro perfetta individualità.
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Il prete nel letto. Esistevano due diverse grandezze: uno per il letto ed uno, più piccolo, per la culla.
(c) Nicola Pezzotta |
La struttura in legno, ossia il
prete, veniva infilata tra le lenzuola facendo assumere al letto una curiosa
forma rigonfia, panciuta, poiché, grazie alle sue assi ricurve, lenzuola e
coperte rimanevano sollevate. La monaca, ovvero il recipiente in terracotta contenente
braci e cenere, invece, trovava alloggiamento sul piano basso del prete, piano volutamente
rivestito in lamiera per ridurre al minimo il rischio di bruciature. Assieme agivano
garantendo una uniforme distribuzione del calore in tutto il letto.
E che piacere infilarsi in un giaciglio
caldo quando la stanza era gelida!
La monaca ed il prete; perchè questi nomi?
Non conosco le motivazioni di tale scelta. Forse ha influito quel forte legame ravvisabile tra società agricola e religione, una legame che rendeva quei nomi di uso quotidiano, familiari. Oppure ha inciso l'idea, l'immagine, talvolta dissacrante, altre volte piena di malizia, che il popolo aveva di certe realtà ecclesiastiche.
E' certo che suscita ogni volta il riso, pensare che, per definire due oggetti così correlati tra loro, siano stati usati termini appartenenti al mondo ecclesiastico, uno declinato al femminile e l'altro al maschile.
1. La partecipazione e la condivisione costituivano un tratto
distintivo delle comunità agricole. Ci si aiutava per la trebbiatura, per la
vendemmia, per la “pista” e in molte
altre occasioni.
2. Il grano, una volta maturo, veniva mietuto e raccolto in
covoni. Dai covoni venivano selezionati gli steli più lunghi, i quali, privati
delle spighe che erano destinate principalmente all’alimentazione umana, formavano
la paglia. Quest’ultima intrecciata manualmente a cinque o sette fili, veniva
impiegata per la produzione di cappelli.
Bibliografia
Bellesi, Franca, Lucchetti, Storia dell'alimentazione, della cultura gastronomica e dell'arte conviviale nelle Marche, Il Lavoro Editoriale.
Un ringraziamento va alla Sig.ra Ciarlantini Rita, ovvero la mamma, per aver condiviso i suoi ricordi.
C'era una volta ... il fuoco
5 commenti:
e mia mamma mi raccontava che le lenzuola erano tutte bucate per via della brace!
Accanto al fuoco la fonte principale di calore erano però le bestie: nella stalla si svolgeva la vita sociale, tutto tranne che cucire per evitare che gli aghi finissero nella paglia e quindi diventassero pericolosi per gli animali.
Ciao Nick :-) bellissimo post
Nadia
Ciao Nadia! Guarda, ringrazia mia sorella (alias muscosa) perché è tutta farina del suo sacco! :) Diciamo che è lei l'esperta delle tradizioni locali. Ciao ciao
Splendido post!! Da collezione! Noi in toscana lo scaldino lo chiamavano "caldano" e il prete "trabiccolo" e poi veniva usata anche la"borsa dell'acqua calda" forse questa era un pò più recente. Sotto la tavola proprio al centro era posto il "caldanone" recipiente in coccio più grande del caldano.Grazie e complimenti
@Nadia: Nadia hai proprio ragione! Molte attività contadine si svolgevano nelle stalle, vicino ai bovini, i quali costituivano una autentica ricchezza per le famiglie.
@Giuliano: Grazie per i complimenti, troppo generoso! Piuttosto dimmi qualcosa di più sul "caldanone", mi incuriosisce molto.
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