Il lago "insanguinato" e la Battaglia del Pian Perduto/1
Anno 1995, passeggiando per il Pian Perduto nei
pressi di Castelluccio di Norcia alcuni pastori notano qualcosa di
strano. Un laghetto, formatosi su un avvallamento carsico, dei
numerosi presenti in questa zona, si è tinto completamente di rosso.
Un rosso scarlatto. Un rosso “sangue”.
Lo Stagno Rosso nel 1995 || (c) Ettore Orsomando |
“...vi
voglio dire come fu quel prato
pieno
di morti e insanguinato.”
Dobbiamo fare necessariamente un salto indietro.
Pian Perduto, al confine tra Marche e Umbria, nel mezzo del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Un tempo non si chiamava Pian Perduto; forse non aveva un nome vero e proprio. Alcune volte veniva definito come “Pian Piccolo” mentre, in realtà il vero Pian Piccolo è quello collocato più a sud dei tre piani principali di Castelluccio.
Pian Perduto, al confine tra Marche e Umbria, nel mezzo del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Un tempo non si chiamava Pian Perduto; forse non aveva un nome vero e proprio. Alcune volte veniva definito come “Pian Piccolo” mentre, in realtà il vero Pian Piccolo è quello collocato più a sud dei tre piani principali di Castelluccio.
Dai documenti presenti negli archivi storici si vede subito che tra
Visso e Norcia non scorre buon sangue. Questo già dal XII secolo e
per i soliti motivi di confini. Il comune di Norcia arrivò anche ad
istituire, nel 1346, un reparto tra le montagne fatto di cittadini e
contadini che controllasse il territorio di confine di Norcia.
Infatti Visso, in quel periodo, si faceva sempre più intraprendente
acquistando territori al di là dei suoi confini. Gli ultimi
“avamposti” erano da una parte Gualdo (territorio di Visso), e
dall'altra Castel Precino, oggi Castelluccio (territorio di Norcia).
In mezzo il Pian Perduto, da tutti agognato.
Gli anni si susseguono e le due città passano da momenti di dure
lotte a tregue molto brevi. Per un periodo Castelluccio risulta
addirittura essere in possesso dei Varano (quindi dei vissani)
intorno al 1420. Le baruffe si fanno sempre più aspre fino alla
fatidica data del 20 Luglio 1522.
La storia narra della battaglia combattuta sul Pian Perduto tra 6000
norcini e 600 vissani e di come la vinse Visso, nonostante
l'inferiorità numerica. Ma i documenti dell'epoca sono molto
lacunosi e non permettono una ricostruzione esatta ed equanime
dell'accaduto.
Un giorno, però, girando per mercatini, mi imbattei in questa
versione in prosa di “pastore poeta” anonimo. Poeta e pastore.
Due parole che oggi sembra strano sentire vicine. Un tempo
('700/'800), invece, da queste parti, era frequente trovare dei
pastori immersi nella lettura di questo libricino o di altri libri
come “La Divina Commedia” e “La Gerusalemme Liberata”.
Leonardi ci fa un affresco di cosa vuol dire essere pastori nel 1913:
“Quando
si arriva in mezzo a questi pastori che dividono la vita fra la
solitudine della campagna romana e quella delle cime dell'Appennino,
si ha l'impressione di trovarsi di fronte ad uomini superiori per la
serietà di carattere e fermezza di propositi. Il pastore è
silenzioso, taciturno, sereno dinnanzi alla morte come un filosofo
stoico, religioso, di un sentimento semplice in diretto contatto con
il mistero infinito della vita. Non turbati e travolti dal turbinio
vorticoso dell'esistenza moderna, i pastori traggono i loro piaceri
da sensazioni semplici che affinano i sentimenti”
Il “poemetto storico”, non è di facile attribuzione e datazione.
A quanto sembra è stato realizzato a due mani: la prima parte a cura
di un tal Berrettaccia di Valleinfante (periodo sconosciuto); la
seconda parte da un sacerdote in un epoca successiva (inizi '800).
Lo scritto inizia introducendo i luoghi dove avvengono i fatti, come
Castelluccio di Norcia,
“Sotto a Vetore v'ha un piccolo castello
Da
zencari fonnato senza fallo,
Che de
neve continua gli ha un mantello
E manco
ad Agosto ce se sente callo;
Da man
destra e sinistra è un piano bello
Che
quanto val nissun po' mai stimallo:
Solo ci
manca il diletto d'Apollo
Perché
ce passa il sole a rompicollo.”
la Val Canatra, dove tutta la storia ebbe inizio,
“Circa un miglio lontan tra piano e costa
V'ha di
faggi una selva spessa e vasta
Dove
capra e torel giammai s'accosta
Che
qualche tronco non recìta o guasta:
Cànetra
ha nome. Un guardiano apposta
Sempre
ci sta che coi vicin contrasta
E per
il fuoco sol riserva questa
Quando
che il freddo maggior li molesta.
Tal'è
la selva che si chiama Cànetra:
Raggio
di sol giammai per essa penetra,
Ce si
spenna a volar aquila ed anetra,
E la
gente la qual dentro si penetra
Bisogna
ben che l'armi sempre ismanetra,
Come
faceasi tra Viterbo e Fenetra,
Convien
che stia da tai perfidie attenta,
Perché
se no di se male argomenta.”
e un rifermento sulle origini di Norcia.
Si nota subito che, colui
che scrive, è dalla parte di Visso. Riferendosi agli abitanti di
Norcia, che secondo la leggenda è stata fondata dagli Ebrei, e
Castelluccio, come si diceva in precedenza, fondata dagli zingari,
dice:
Mappa dei luoghi in questione |
“Or
tu che quivi leggi e dotto sei
Dhe!
Considera un po', pensa, se 'el sai,
A
mescolà li zencari e li Ebrei
Se che
progenia ne po' riusci mai.
Io mi
starebbi pe li fatti miei
Non
gerendo cercando affanni e guai,
Ma
senza fallo ben direbbi a vui
Che so'
di trista razza tutti e dui.”
Mi sembra chiaro, non pensate?
Il Pian Perduto, Castelluccio di Norcia e la Val Canatra dal Monte Palazzo Borghese || (c) Nicola Pezzotta |
Il bosco della Val Canatra era presidiato dai norcini per evitare che
gli alberi venissero “rubati” dai vissani. E' proprio questo,
secondo il pastore, anche se non ne ritroviamo tracce nelle cronache
dell'epoca, a scatenare la battaglia. Infatti, un tal di nome Giorro,
a causa della rottura di una treggia, penetra nel bosco per prendere
un legno da plasmare e formare un pezzo da sostituire a quello rotto:
“E
con gran prescia pigliata un'accetta
Alla
selva di Cànetra già in fretta.
Va
nella selva et ivi un faggio taglia
(E la
necessità ce lo consiglia,
Ché
avia da carreggià quel po' di paglia
Per
allevà se stesso e la famiglia!)”
Ma viene scoperto proprio da un guardiano del bosco che prima lo
minaccia, e poi gli chiede di pagare il “legno”. A questo Giorro
si scalda e:
“Lo
buttò a terra come un pero mezzo,
Li
dicia: “O tu ti fermi o ch'io t'ammazzo...
Io le
tue ingiurie più soffrir non pozzo...
Noscino,
fermo li, se no ti strozzo...””
E giù botte. Alla fine il guardiano riesce a scappare e a tornare a
Norcia, dove racconta tutto e fa montare, tra gli abitanti, la furia
per l'accaduto. Dopo dieci giorni dal fattaccio, morì la sentinella
del bosco facendo “terra per lo cece”. Fu l'ultima goccia
che fece traboccare il vaso. Armatisi, i norcini si avviano a fare
giustizia, ognuno con i mezzi propri:
“Chi
piglia allor lo spito, e chi la spada,
Chi la
schioppetta sua fatta alla moda
(E se
gli è carca o no neppur s'abbada;
Di gi
alla pugna sol par che si goda)”
Il primo che incontrano è un contadino e lo massacrano di botte. Ma
intorno parecchi vedono cosa accade e prendendo gli arnesi del lavoro
si buttarono a dare mazzate ai norcini che fuggirono “tutti
dolenti, miseri e tapini” dentro le mura della città di
Castelluccio.
Uno dei norcini corre a Norcia a chiamare rinforzi che non tardano ad
arrivare. All'alba i vissani si trovano di fronte “tanta gente”
e “di contrastar non han forze bastante”. Nel frattempo,
anche loro, sono andati a chiedere rinforzi a Gualdo, Nocria,
Castello, Nocelleto e Ussita, dove trova anche l'appoggio del
capitano e del suo seguito.
Le “truppe” iniziano a ammassarsi sia dal lato di Visso che da
quello di Norcia. I norcini arrivati in cima alla val Patina mirano
verso i piani e
“Disse
Arbillo ai norcin: “Come di fieno
Questo
prato sarà di morti pieno””.
Arrivati a Castelluccio, i norcini, e tutti i castelli limitrofi, si
avviano al luogo della battaglia. Al vedere tanti combattenti
scendere al piano, “il drappel vissano dallo spavento fu tosto
ripieno” e fecero per tornare verso Visso senza combattere,
quand'ecco arrivare in aiuto i soldati di Montemonaco, Montegallo e
Montefortino. Nonostante fossero ancora inferiori di numero, questi
infusero ai vissani coraggio e ritornarono a serrare i ranghi verso
la battaglia.
Alla fine inizia lo scontro e la differenza, secondo il poeta, la fa
Santa Margherita. Infatti
“Quando
il Governator vidde sfilare
L'armata
de' norcini inferocita
Alli
soldati tosto fe' piegare
Amendue
le ginocchia e unir le dita,
Di S.
Margherita fe' invocare
Il nome
illustre e rammentar la vita,
Onde
ognun ripetea queste parole:
“Dhe,
santa, aiuta noi e la nostra prole””.
“E Mentre Visso in Margherita ha fede,
Norcia in Bacco suo Dio confida e crede”.
Sta qui il fulcro del poema. Visso vince, anche in inferiorità
numerica proprio perché ha fede nei santi a differenza di Norcia, il
cui popolo è sceso in battaglia già inebriato dai fumi del vino.
Il Pian Perduto in inverno || (c) Nicola Pezzotta |
In realtà le cose non si sa come andarono esattamente. Quello che
resta è, appunto, la toponomastica del luogo. Da quel giorno quel
piano si chiamò Pian Perduto, perché perduto in battaglia da Norcia. Attualmente
quasi tutto il piano è territorio marchigiano. Il confine passa
proprio nel punto in cui c'è il laghetto o Stagno Rosso.
Ma torniamo al laghetto e ai suoi misteri... anzi, ve ne parlerò nel
prossimo post (Il lago "insanguinato" e la Battaglia del Pian Perduto/2)!
Fonti:
Lo stagno rosso del Pian Perduto. Parco Nazionale dei Monti Sibillini - Ettore Orsomando; Antonio dell'Uomo - L'uomo e l'ambiente 24 - Camerino 1997. | La Battaglia del Pian Perduto. Poemetto storico pubblicato per la prima volta con introduzione e note a cura di Pietro Pirri - Pietro Pirri - Prem. Stab. Tip. Giuseppe Campi - Foligno 1914.
Fonti:
Lo stagno rosso del Pian Perduto. Parco Nazionale dei Monti Sibillini - Ettore Orsomando; Antonio dell'Uomo - L'uomo e l'ambiente 24 - Camerino 1997. | La Battaglia del Pian Perduto. Poemetto storico pubblicato per la prima volta con introduzione e note a cura di Pietro Pirri - Pietro Pirri - Prem. Stab. Tip. Giuseppe Campi - Foligno 1914.
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